Storie delle famiglie
01/12/2018
Quel “pezzetto” del nostro cuore
Ho lasciato l’attività, ci sono mille pensieri ma vengono in secondo piano. In questo momento la priorità è mio figlio Leonardo. L’ho desiderato, l’ho voluto, l’ho cercato. Quindi pensare di lasciarlo qui da solo non è una cosa che voglio. Non me la sento. Quando siamo arrivati a Roma non ho potuto neanche dire “Perché proprio a me?” perché basta entrare al Bambin Gesù per capire che non capita solo a te. Fa male, perché un bambino non ha colore, non ha religione, non ha politica. È un bambino. Deve solo giocare, deve solo pensare alla sua età. Vedere la malattia su di loro fa male, fa proprio male. La prima notte in ospedale, prima di addormentarci gli ho detto una cosa stupida: “Mi raccomando Leo, devi essere sempre? ...Forte”. Il primo giorno gliel’ho detto io come frase e poi lui ora ogni sera prima di addormentarci io gli dico l’inizio e lui mi dice la fine: “Forte”. Devi essere forte perché in queste situazioni ci vuole tanta forza e si riesce ad affrontare meglio tutto e la forza che abbiamo avuto finora noi ce l’ha trasmessa lui. Dal punto di vista economico, pensare di vivere a Roma, con un mutuo da pagare giù a Bari, era… impossibile. Così quando ci hanno detto che potevamo stare a Casa Ronald, è stato un sollievo. Avverti un senso di libertà stando in Casa perché non hai molte restrizioni, in primis per lui. È una situazione per certi versi più serena, più tranquilla, più spensierata. C’è sempre un po’ un via vai di gente: chi viene, chi se ne va, chi torna. Siamo tutti qui per uno stesso motivo: pensare al benessere dei nostri figli. È una bella sensazione, senti di far parte di una famiglia allargata. Leo già quando è uscito dall’ospedale sembrava stesse vedendo il mondo per la prima volta. Ha sempre avuto una gioia, una tranquillità nello stare con gli altri, adesso alcune volte ad esempio si stanca e diventa un po’ “piccioso” come è normale che sia, anche perché ha quattro anni. Io continuo a trattarlo come lo trattavo prima anche perché per me non è cambiato nulla. Non avrei voluto che vivesse questa esperienza però purtroppo ormai la sta vivendo, come la stiamo vivendo noi, e dobbiamo cercare di fargliela vivere nel modo più tranquillo del mondo. Glielo dico sempre di conservare il sorriso, alcune volte ti viene meno, però è l’unico modo che ho trovato io per affrontare la vita.
Lo chiamo Pezzetto perché genericamente tutti i figli sono delle mamme. E allora io ho sempre detto che a me basta un pezzetto, anche piccolo, del suo cuore. Quindi per me lui è pezzetto. Non mi sono mai soffermato troppo su quella casetta trasparente dentro McDonald’s. Non perché non l’avessi notata, ma perché in genere non credo molto nelle donazioni. Adesso la guardo con occhi totalmente differenti. Quei soldi vengono investiti per far sì che un genitore possa star vicino al proprio figlio. La stessa Fondazione Ronald nasce per l’esigenza di un papà. Vedo adesso quella casetta con occhi totalmente differenti. Ho visto molti genitori dormire in macchina. Questo mondo non lo vuoi vedere, in realtà. Non lo vuoi vedere perché non vuoi vedere la malattia su un bambino. Quando ci sei dentro, purtroppo non lo puoi più ignorare. E quindi ti rendi conto di che mondo c’è attorno, di quello che tra virgolette tu non vedi: i volontari, i dipendenti, le altre famiglie. Quando vai via dalla tua città, lasci casa che è il posto più intimo che puoi avere. In Casa Ronald dovrai adattarti a stare con altre famiglie, dovrai adattarti ad altri modi di vivere, però hai sempre una casa in cui tornare dopo l’ospedale. E non è poco. È tantissimo.
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